Come abbiamo precisato nel post precedente, Il design oggi è usato per definire tanti concetti diversi, dalla parte grafica e visuale ad un nuovo modo di approcciare innovazione. Tante declinazioni differenti con un comune denominatore: progettare. E possiamo sicuramente imparare da grandi come Vignelli e Munari il mindset più adatto.

Design presuppone che ci sia un problema che va risolto con un progetto di soluzione, attraverso la formulazione di idee. Per poter parlare di temi come UX o UI design, tools, font e UX writing, occorre partire da quelli che sono i fondamentali della materia. I pilastri alla base di ogni tipologia di approccio che identifichiamo come design.

Il canone Vignelli

Per farlo partiamo da Massimo Vignelli,  uno dei più grandi designer del Novecento. Una personalità poliedrica che ha spaziato durante la sua lunga carriera in diversi ambiti, conquistando la fama internazionale grazie anche alla sua celebre rappresentazione della mappa della Metropolitana di New York.

Vignelli tra le tante cose è autore di uno dei testi più importanti per capire: Il Canone Vignelli è un libricino di poco più di 100 pagine in grado di fornire ai designer le linee guida essenziali per le loro opere.

Spaziando tra Valori Intangibili (semantica, eleganza intellettuale, marketing…) e Valori Tangibili (carta, impaginazione, sequenza…) alcuni dei concetti espressi sono ancora la base del lavoro di ogni grafico o designe fornendo un approccio non numerico o di proporzioni ma più ideologico a chi dovendo scrivere ha sempre più bisogno di imparare a lavorare al meglio con le immagini. 

La vita del designer è una vita di lotta contro il brutto.
– Massimo Vignelli

Dal canone Vignelli prendiamo dei concetti base quindi partendo dall’avere una passione autentica per il design capendone anche la sua responsabilità e necessità di un’etica forte. Nell’approccio bisogna infatti essere sempre rispettosi nel comprendere il messaggio di chi abbiamo di fronte, ricordandoci di progettare con disciplina, creando qualcosa che serve realmente e che abbia significato. Soprattutto ci dobbiamo portare a casa una convinzione: il nostro design non è usa-e-getta ma è sostenibile. Parliamo di una progettazione senza tempo, non alla moda ma qualcosa che “funzioni” anche tra vent’anni. 

Avvicinarsi ai grandi rivoluzionari del designer permette di contaminarsi con le loro idee e lasciarsi ispirare da stili che non hanno una data di scadenza e sono, per fortuna, sempre attuali come dei fari in mezzo al mare. 

Standing on the shoulders of giants

Tanti i nomi di designer ispirati come Bob Noorda, co-fondatore con lo stesso Massimo Vignelli dell’agenzia grafica Unimark International e che ha realizzato i loghi di quasi tutte le aziende più importanti. O ancora Gio Ponti, Gae Aulenti o Enzo Mari.

Dato il tema di questa sezione del sito che insiste sulla contaminazione tra scrittura e visual, ci soffermeremo su una figura leonardesca che meglio rappresenta la sintesi del mondo visivo e letterario con un’importante intellettualità di fondo. Leggendo le prime righe della pagina di Wikipedia dedicata a Bruno Munari, viene definito come “uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell’espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del movimento, della luce e dello sviluppo della creatività e della fantasia nell’infanzia attraverso il gioco”.

Per capire più a fondo il pensiero di Munari, ci vengono in aiuto molti dei suoi testi tratti da lezioni, conferenze o appunti che il Maestro aveva preso nel corso della sua lunga e prolifica carriera. Menzioniamo “Design e comunicazione visiva” come uno dei principali, suddiviso in due parti: una prima raccolta di testi apparsi come corrispondenza dall’estero durante la sua permanenza ad Harvard e la seconda parte che è un vero e proprio corso completo di Visual Design, come spiega lui stesso nella prefazione.

Per Munari il concetto di bellezza va sostituito con quello di coerenza formale e soprattutto aggiornato con la tecnologia sempre in evoluzione che permette di avere una resa grafica molto più di impatto. Nella sua concezione di design la parte artistica è come lo Zen, c’è o non c’è e le scuole d’arte devono diventare sempre più pratiche e mettere gli studenti in grado di imparare tecniche di comunicazione visiva che potranno effettivamente usare.

Per darci delle regole di design dobbiamo quindi capirne prima la motivazione di fondo: l’oggettivazione dell’immagine. Ogni persona ha un suo archivio di riferimenti visuali a cui accedere e a cui collega determinate emozioni. La stessa immagine può avere un significato per me e l’opposto per un’altra persona (pensiamo al classico esempio del Vaso di Rubin).

Quando parliamo di comunicazione visiva però occorre che l’immagine usata sia leggibile per tutti nello stesso modo. Al contrario finiremmo per parlare di confusione visiva. Capendo questo concetto, si saprà così quali immagini, quali forme, quali colori usare per comunicare date informazioni a una data categoria di spettatori.

Nonostante l’uso di regole convenzionali o rivoluzionarie non saremo comunque in grado di decretare il successo o meno di una certa progettazione. Ne sono un esempio le immagini costruite in maniera sbagliata da cui siamo circondati ma che riescono comunque a comunicare con efficacia quello che vogliono dire.

Inoltre imparare a conoscere l’ABC del visual attraverso testi come il Canone Vignelli è fondamentale per sapere di cosa stiamo parlando anche quando decidiamo deliberatamente che può non funzionare. E scegliamo un’altra strada.